Pensione di reversibilità per figlio inabile: quando ne ha diritto?

Quando un figlio inabile ha diritto alla pensione di reversibilità? Per comprendere fino in fondo come funziona la procedura, bisogna vedere qual è il concetto di inabilità stabilito dal nostro ordinamento. Secondo le norme vigenti, per inabilità si considera la permanente impossibilità a svolgere un lavoro, determinata dall’infermità, da un difetto fisico o mentale.

L’inabilità comporta per il soggetto l’impossibilità di svolgere un’attività lavorativa sia di tipo subordinato che autonomo. Di conseguenza il soggetto inabile, poiché non può svolgere alcun lavoro, non ha la possibilità di guadagnare.

Il concetto è completamente diverso da quello che riguarda, invece, l’invalidità civile. Quest’ultima riguarda una diminuzione permanente delle capacità di lavoro. L’inabilità, al contrario, verte sull’impossibilità di essere occupato in qualsiasi attività lavorativa.

La pensione di reversibilità per il figlio inabile

Per ottenere, quindi, la pensione di reversibilità non è sufficiente essere invalido civile al 100%. Infatti il figlio inabile, per poter ottenere la pensione di reversibilità del genitore, deve sottoporsi ad un altro esame per accertare le sue condizioni psicofisiche. La procedura si svolge secondo le disposizioni della legge 222 del 1984.

C’è però un’eccezione che bisogna segnalare e che si rifà all’articolo 8 della stessa legge 222 del 1984. Secondo questa norma, per il riconoscimento della pensione di reversibilità, non costituisce ostacolo l’attività lavorativa con orario non superiore a 25 ore settimanali e che viene svolta per finalità terapeutiche, come per esempio quei lavori svolti presso le cooperative sociali o presso quelle aziende che assumono i soggetti secondo la legge per il collocamento dei disabili.

In queste condizioni il figlio inabile può avere un proprio reddito mensile, a cui può essere aggiunta la pensione di reversibilità del genitore.

Le altre condizioni per la pensione di reversibilità

È fondamentale, perché il figlio inabile abbia riconosciuta la pensione di reversibilità, che l’inabilità sussista al momento della morte del genitore. Inoltre è importante che il figlio maggiorenne, al momento della morte del genitore, sia a suo carico, in modo da dimostrare che il figlio sia stato soggetto al mantenimento abituale da parte del genitore deceduto.

Un altro requisito fondamentale è che il figlio maggiorenne inabile non sia autosufficiente economicamente. Per questo punto si fa riferimento al non superamento di un reddito pari a 16.532 euro all’anno. Questa soglia può essere aumentata per i figli inabili che percepiscono un’indennità di accompagnamento. In questi casi il limite di reddito è pari a 23.143 euro all’anno.

Per accertare il mantenimento abituale da parte del genitore deceduto nei confronti del figlio inabile, si deve verificare che il figlio convivesse con l’assicurato. Questa è una verifica che viene avviata dall’INPS. Se il figlio non risulta convivente, bisogna effettuare un confronto preciso sui redditi, in modo da vedere se veramente il mantenimento fosse di natura rilevante e continuativa.

Tuttavia non è richiesto che il genitore deceduto provvedesse al mantenimento del figlio in via esclusiva. Per esempio rimane valido ai fini del conseguimento della pensione di reversibilità il fatto che il genitore provvedesse al pagamento delle utenze, del condominio, dell’acquisto dei farmaci. Oppure un altro caso particolare è quello in cui il figlio inabile sia ricoverato in un istituto di cura o di assistenza, anche se la retta non veniva pagata dal genitore deceduto, che però provvedeva ad assicurargli i mezzi di sussistenza con continuità.